Giornata contro la violenza sulle donne
progetto dedicato alla consapevolezza, in collaborazione con l’Associazione Telefono Donna Como, Comune di Appiano Gentile e Comune di Oltrona San Mamette
Giornata contro la violenza sulle donne 2023
18 NOVEMBRE 2023
Piazza Libertà di Appiano Gentile e Piazza Europa di Oltrona San Mamette.
Due sagome di donne stese a terra
Curiosi di saperne di più? Seguiteci sui social per tutti gli aggiornamenti!
L'esperienza degli operatori di Telefono donna: il racconto di Elena
Apri le sezioni sottostanti per scoprire di più
CONOSCERE E RICONOSCERE LA VIOLENZA
Non è possibile affermare che esistano dei fattori di rischio che predispongono a intraprendere una relazione con un uomo maltrattante. I luoghi comuni e i pregiudizi sul tema della violenza di genere possono portarci a credere per esempio che sia un fenomeno che riguardi classi sociali svantaggiate, tradizioni culturali arretrate, oppure che siano soprattutto donne fragili o in condizioni di difficoltà psicologica e sociale a cadere vittime di violenza domestica.
I dati internazionali mostrano in realtà che il fenomeno è trasversale a tutte le culture, le classi sociali, le etnie e le religioni. Secondo la più ampia indagine italiana compiuta sul fenomeno, sono prevalentemente uomini italiani a compiere violenza.
Anche per quanto riguarda i fattori personali, gli studi e l’esperienza dei centri antiviolenza mostrano che il fenomeno riguarda donne con i più disparati profili biografici e le più diverse caratteristiche di personalità. Eventuali fragilità psicologiche e difficoltà socio-economiche possono tuttavia rendere più difficile il percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Lo stesso vale per le “situazioni a rischio”. Uno dei pregiudizi che spesso si riscontra quando si parla di violenza, in particolare di violenza sessuale, è che sia un fenomeno legato alla sicurezza pubblica, quindi al maggiore rischio di subire violenza in luoghi isolati e nelle ore serali, ma le statistiche non ci dicono cosi: secondo i dati ISTAT (2007/2015) sono compagni, mariti e fidanzati a commettere le violenze più gravi.
Per quanto riguarda gli indicatori da poter osservare, ci sono dei segni che possono aiutarci a capire se siamo davanti a una donna vittima di violenza. Non mi soffermo sugli indicatori fisici, in quanto è più facile che siano indagati da operatori che lavorano nel contesto sanitario. Piuttosto desidero soffermarmi su quelli psicologici e relazionali che sono più riscontrabili da chi frequenta la donna nel suo quotidiano.
Tra gli indicatori psicologici troviamo:
- stati d’ansia ricorrenti e/o attacchi di panico
- difficoltà di concentrazione
- umore depresso
- irritabilità e/o scoppi d’ira
- disturbi del sonno e incubi ricorrenti
- apatia, esaurimento di energie, stanchezza cronica
- disprezzo di sé e senso di inadeguatezza
- sbalzi repentini d’umore
- autolesionismo
Tra gli indicatori relazionali troviamo:
- sfaldamento della rete di relazioni, isolamento sociale
- riduzione o perdita progressiva dell’autorevolezza materna o altre difficoltà nell’assunzione del ruolo educativo e nell’accudimento di figli/e
- frequenti assenze dal lavoro per malattia e riduzione della produttività o calo del rendimento scolastico
- modifica delle attività extrascolastiche
- cambiamento nel modo di abbigliarsi, pettinarsi, truccarsi ecc.
Ci sono poi alcuni “campanelli d’allarme” che possiamo osservare all’interno della relazione, specialmente nella fase iniziale, nella quale la violenza non è ancora esplicita. Come in tutte le relazioni, anche in quelle con un uomo maltrattante possiamo osservare una fase iniziale “idilliaca”. In questa fase l’uomo mette in atto quello che viene definito love bombing, ossia un “bombardamento d’amore”, con comportamenti apparentemente molto premurosi e rassicuranti, che possono facilmente essere visti sotto una luce positiva. In realtà questi atteggiamenti nascondono un desiderio di controllo, esclusività e intolleranza per le divergenze, oltre che una modalità per agganciare la donna.
Alcuni esempi.
- Lui la contatta continuamente attraverso telefonate e/o messaggi e desidera che lei la informi su ogni suo spostamento.
- La accompagna ovunque e si aspetta che lei condivida con lui ogni informazione, tra cui le password, dicendo che è normale che ciascuno sappia tutto dell’altro in una coppia.
- È eccessivamente romantico. Sembra concentrato esclusivamente sulla partner. Vede meno i suoi amici, posticipa impegni lavorativi. Investe molto tempo ed energie per fare regali, organizzare appuntamenti, fare viaggi, non chiedendo mai l’opinione della donna.
- È geloso. Si irrita ogni volta che la donna racconta di un episodio legato a un ex partner. Si mostra preoccupato per il suo modo di acconciarsi o di vestirsi e giustifica il suo comportamento dicendo che altri uomini potrebbero trovarla attraente e farle delle avances. Si mostra infastidito dai rapporti con amici e colleghi della donna.
- Desidera che lei gli dedichi tutto il suo tempo e la sua attenzione. Lo infastidisce che lei scelga di trascorrere con familiari e amici del tempo che avrebbero potuto trascorrere insieme.
- Trova che lei sia la donna ideale, ma ha atteggiamenti negativi nei confronti delle altre donne. Sostiene che lei sia diversa da tutte le altre donne, le quali sono per lo più poco serie.
ASCOLTARE, ACCOMPAGNARE, AIUTARE
Se hai il sospetto che una persona che conosci stia subendo violenza dal proprio partner, per prima cosa è importante offrire alla persona la propria disponibilità all’ascolto: prenditi del tempo per parlarle di quello che hai notato. Manifesta la tua preoccupazione e chiedi se sta vivendo una situazione familiare difficile di cui vorrebbe parlare.
Se la donna ti parla di quello che sta vivendo, falla sentire compresa. È possibile che si senta in colpa e si senta di “meritare” quello che le accade. Tu sottolinea che la violenza è una responsabilità di chi la compie, indipendentemente da quel che fa o non fa chi la subisce. Non c’è giustificazione per la violenza.
Mostrale che la sua situazione non ti appare surreale, ma che sei a conoscenza del fatto che la violenza è un problema grave e comune a molti più uomini di quanto si possa pensare.
È importante rispettare i tempi e gli spazi della donna. Cerca di rimanere in contatto con lei, senza avere un atteggiamento intrusivo o pressante. Evita quindi di dirle quello che dovrebbe fare, ma cerca piuttosto di capire con lei quali siano i suoi bisogni. Può venire spontaneo chiederle come abbia fatto a sopportare questa situazione e cosa aspetti a lasciare il partner maltrattante, ma in questo modo si sentirebbe giudicata e non compresa nella complessità della situazione che sta vivendo. Ricorda che l’uomo che agisce violenza è la stessa persona con cui la donna ha intrapreso una relazione affettiva. Non stupirti se nel racconto emergono sentimenti ambivalenti: amore e paura, stima e odio, volontà di chiudere la relazione e speranza di una riconciliazione. Mostrale che puoi comprenderla e che rispetti la complessità di quello che sta vivendo. Cerca di evitare insulti e di mostrare disprezzo contro il suo compagno. Se infatti la donna ti considera ostile, probabilmente interromperà ogni contatto con te, specialmente se non è ancora pronta a lasciare la relazione.
La violenza domestica è un problema molto complesso e dev’essere gestito con l’aiuto di professionisti e servizi specializzati. Interrompere una relazione con un uomo violento è un percorso complesso e articolato. Per la sua sicurezza e per la tua serenità è necessario che la donna possa contare su più punti di riferimento. Oltre ad ascoltare il racconto della donna, puoi informarla sulle sue opportunità: dalle il numero di telefono e l’indirizzo del centro antiviolenza più vicino. Rassicurala sul fatto che lì sarà ascoltata, non verrà giudicata e non verrà forzata a prendere decisioni. Ricorda alla donna che in caso di pericolo non deve esitare a chiamare le forze dell’ordine.
Online è disponibile una mappatura dei centri antiviolenza italiani completa di numeri di telefono, indirizzi e tutti i servizi offerti da ciascuna realtà locale (http://comecitrovi.women.it). Puoi contattare tu stesso un centro antiviolenza o puoi chiamare il 1522 (numero nazionale di pubblica utilità per il contrasto alla violenza di genere e allo stalking) per confrontarti e avere ulteriori consigli su come puoi aiutare la donna. Per quanto riguarda il territorio di Como e provincia, il centro antiviolenza di riferimento è Telefono Donna. Venire a conoscenza di una situazione di pericolo può essere molto destabilizzante; il confronto con delle professioniste può esserti di grande sostegno.
Infine puoi offrire un sostegno pratico alla donna manifestandole la tua disponibilità ad accompagnarla al centro antiviolenza. Puoi renderti disponibile a darle una mano con i bambini o con eventuali animali domestici. Potresti renderti disponibile a ospitarla temporaneamente o ad aiutarla nella ricerca di una sistemazione in caso le fosse necessario allontanarsi da casa in situazioni di emergenza.
LE DIVERSE FORME DI VIOLENZA
La violenza non si presenta in un’unica forma. Quella che noi conosciamo principalmente dai giornali è la violenza di tipo fisico. È la forma di violenza più riconoscibile, che coinvolge l’uso della forza contro le vittime con conseguenti lesioni, fino ad arrivare, nei casi più gravi, al femminicidio.
Le altre forme di violenza, che sono meno evidenti e meno conosciute sono:
- violenza psicologica,
- violenza economica,
- violenza sessuale all’interno di una relazione affettiva,
- stalking,
- violenza assistita.
La violenza psicologica comprende tutti quegli atteggiamenti che hanno come obiettivo quello di togliere alla donna la capacità di autodeterminarsi e di agire secondo la propria volontà. Comprende per esempio le critiche frequenti, il ridicolizzare, il muovere accuse costanti di infedeltà, l’incapacità di tollerare il disaccordo, il controllo continuo dei movimenti e la pretesa che la partner renda conto del suo tempo, l’umiliazione in pubblico o davanti ai figli. È importante sottolineare che dal punto di vista traumatologico i danni che occorrono in seguito alla violenza psicologica vengono descritti come più dolorosi rispetto ai danni della violenza fisica: ci sono diversi studi che dimostrano che il dolore fisico segue un processo di abituazione. Spesso le vittime, col proseguire del dolore, tendono a non riconoscerlo più per una serie di sistemi neurologici che fanno sì che la donna non senta più il dolore come all’inizio, mentre le parole continuano a svolgere lo stesso effetto terrifico. A lungo andare le conseguenze sul piano psicologico sono devastanti in termini di perdita di autostima e di privazione dell’autodeterminazione. La violenza psicologica mina il valore della persona ed è un tipo di violenza difficile da riconoscere e da denunciare, proprio perchè non ci sono segnali fisici.
La violenza economica consiste in una serie di atteggiamenti volti all’impedire che la donna possa disporre di denaro in modo autonomo ed indipendente, in modo da poter esercitare su di essa un controllo indiretto estremamente efficace.
L’uomo può impedire alla sua partner di cercare un lavoro e/o di migliorare la propria istruzione, oppure può privarla di avere il controllo del suo stesso stipendio.
Capita che si impedisca alla donna di accedere ai conti bancari comuni, che la si privi di informazioni sulle risorse economiche familiari, che le si intestino conti e proprietà coinvolgendola in truffe o facendo ricadere su di lei debiti e sanzioni. Si può costringere la donna a pagare esclusivamente con il suo denaro tutte le spese domestiche, non pagare gli alimenti e il mantenimento per i figli dopo una separazione.
La dipendenza economica è uno dei meccanismi di mantenimento della violenza, infatti la mancanza di denaro da gestire autonomamente o l’impossibilità di accedere a beni familiari, qualora si decida di separarsi, costituiscono dei fortissimi deterrenti per lasciare la relazione.
È violenza sessuale ogni atto sessuale imposto con l’uso della forza fisica o della minaccia, approfittando dell’incapacità della donna di esprimere il suo consenso, oppure attraverso l’induzione di uno stato di soggezione psicologica. Si considera violenza sessuale anche la condotta di chi prosegue un rapporto sessuale quando il consenso, originariamente prestato, venga meno a causa di un ripensamento o della non condivisione delle modalità di consumazione del rapporto.
La violenza sessuale non rientra tra le violenze “sottili” per le ripercussioni fisiche e psicologiche evidenti e socialmente riconosciute. Tuttavia c’è una forma di violenza che rientra in questa categoria ed è la violenza sessuale coniugale, ossia quella che avviene all’interno di un matrimonio, più in generale all’interno di una relazione affettiva.
Gli atti sessuali si configurano, in questo ambito, come un obbligo a cui la donna deve prestarsi in maniera inconsapevole – per esempio durante il sonno o in situazioni di vulnerabilità – o costretta da aspetti contingenti che rendono “necessario” un incontro intimo con il partner (violenza psicologica, coercizione, ricatto, senso del dovere/obbligo, instillazione del senso di colpa). Pensiamo per esempio all’ipotesi in cui la vittima abbia preferito acconsentire ad avere un rapporto, piuttosto che correre rischi peggiori. In questi casi è sempre necessario chiedersi se il consenso è stato davvero volontario o frutto di una sottomissione psicologica.
La violenza sessuale coniugale viene favorita da secoli di cultura patriarcale, sulla base dei quali la moglie, nel momento in cui diventa tale, si tramuta automaticamente in una “proprietà” del marito che può disporne a suo piacimento come e quando desidera. Ancora oggi si sente parlare di “doveri coniugali” e tra di essi molti inseriscono anche il “dovere al rapporto sessuale”. La Corte di Cassazione italiana, a partire dagli anni ‘70, ha stabilito che l’unione matrimoniale non rappresenta in alcun caso un pretesto mediante cui imporre prestazioni sessuali al partner.
La violenza assistita consiste nel far assistere bambini ad atti di abuso fisico, verbale, psicologico, sessuale o economico sulla madre o su altre figure significative. I figli possono fare esperienza diretta della violenza quando questa avviene nel loro campo percettivo, per esempio davanti a loro o in un luogo della casa nel quale arrivano urla e rumori. Oppure indirettamente, percependo gli effetti della violenza, ad esempio vedendo le ferite sul corpo della madre, oggetti rotti in casa, o ancora il suo stato di paura e soggezione nei confronti del padre. Diversi studi hanno dimostrato che assistere alla violenza nei confronti di una figura affettiva di riferimento è una forma di abuso a tutti gli effetti, in grado di compromettere lo sviluppo individuale e produrre sintomi psico-fisici a breve, medio e lungo termine, per lo più sovrapponibili a quelli di un abuso diretto. Spesso accade che le madri vittime di violenza abbiano la convinzione che i bambini non abbiano mai assistito a episodi di maltrattamento e che non siano consapevoli di quello che accade.
Per stalking si intende un insieme di comportamenti persecutori ripetuti che generano nella donna la sensazione di essere continuamente controllata e seguita, inducendole paura e ansia. Alcuni esempi di stalking sono il ricevere telefonate, messaggi, biglietti, e-mail, attenzioni o regali in modo intrusivo e indesiderato oppure comportamenti controllanti come pedinamenti, inseguimenti o appostamenti sotto casa, sul luogo di lavoro o presso altri luoghi frequentati abitualmente dalla donna. Rientrano nello stalking anche atti intimidatori come, per esempio, far recapitare oggetti all’indirizzo della vittima o ancora ricevere messaggi o telefonate nei quali lo stalker comunica di essere a conoscenza del luogo esatto in cui la donna si trova allo scopo di insinuare in lei la sensazione di non poter sfuggire al suo controllo. Attualmente stanno aumentando i casi di cyberstalking, una forma di violenza persecutoria esercitata con l’uso di internet o altri strumenti informatici, come per esempio il furto d’identità, la diffamazione e la calunnia su internet. Frequente è la raccolta di informazioni, foto e video con l’obiettivo di minacciare la donna di metterla in grave imbarazzo o distruggerne la reputazione. A questo proposito il termine revenge porn è relativo alla diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti.
Un comportamento che dal 9 agosto del 2019 costituisce reato anche in Italia. La legge è stata introdotta al fine di contrastare la “moda” di diffondere foto e video hard realizzate con il consenso dell’interessato/a, che vengono diffuse senza nessuna autorizzazione, andando a ledere la privacy, la reputazione e la dignità della vittima.
FARSI AIUTARE
Per prima cosa ci tengo a specificare che uscire dalla violenza è un percorso molto complesso e articolato. Difficilmente i percorsi sono dritti e lineari. Più spesso infatti sono costellati da alti e bassi, con un’alternanza di passi avanti e passi indietro a causa delle difficoltà pratiche ed emotive che la donna deve affrontare. I “passi indietro” non devono essere considerati come fallimenti, bensì delle tappe di un lungo e faticoso percorso che permettono alla donna di prendere sempre più coscienza della situazione che stanno vivendo.
Il primo obiettivo infatti è proprio quello di riconoscere l’abuso e il conseguente rischio, dando un nome al problema. Da qui la cosa importante è individuare dei punti di riferimento, quali amici e familiari e soprattutto professionisti specializzati che possano aiutare la donna in questo difficile percorso. L’obiettivo principale, in questa prima fase, è quello di costruire una condizione di sicurezza, individuando i possibili comportamenti di autoprotezione e focalizzando quelli che possono invece esporre a un maggiore rischio. Solo quando la donna è in una condizione di sicurezza si può procedere con l’elaborazione dell’esperienza traumatica. A questo proposito la donna, rivolgendosi a un centro antiviolenza, avrà la possibilità di accedere gratuitamente al servizio di consulenza psicologica con professioniste specializzate che la aiuteranno a ricostruire e comprendere la storia della coppia, a riconoscere la responsabilità del partner maltrattante liberandosi dei sensi di colpa, a riconoscere gli effetti della violenza e affrontare i sentimenti ambivalenti. Queste sono le basi per arrivare all’ultima tappa del percorso, ossia la costruzione di un cambiamento con cui la donna potrà riappropriarsi dei propri desideri e obiettivi, tornando a esercitare la capacità di progettare, pianificare e sperimentarsi, valorizzando e potenziando le proprie risorse personali e sociali per non vedersi più solo come vittima, ma come una persona che ha ripreso in mano la propria vita e la propria libertà.
LA DENUNCIA
Per rispondere a questa domanda è necessario fare una distinzione fondamentale tra i reati procedibili a querela e quelli procedibili d’ufficio.
Si parla di reati procedibili a querela quando solo la vittima può decidere se richiedere una condanna penale per l’autore del reato. In questo caso quindi solo la vittima può decidere se querelare l’uomo che ha agito violenza. Esiste in questo caso la possibilità di revoca. Diverso è per i reati procedibili d’ufficio. Questi arrivano al procedimento penale attraverso la denuncia, che a differenza della querela può essere presentata, oltre che dalla persona offesa, da chiunque abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio.
Hanno obbligo di presentare denuncia il pubblico ufficiale e la persona incaricata di pubblico servizio e/o esercente un servizio di pubblica utilità, dal momento della conoscenza del reato, indipendentemente dalla volontà della persona offesa, che vede partire l’iter processuale penale senza una sua decisione in merito. La denuncia, a differenza della querela, non può essere ritirata.
Non sempre, quindi, la denuncia corrisponde con un atto deciso dalla donna. È chiaro che in questo caso può rappresentare una difficoltà anziché un sostegno e senza il giusto supporto tecnico rischia di vedere peggiorare la condizione della donna, ad esempio con l’inasprimento delle violenze da parte dell’uomo denunciato.
Il momento della denuncia/querela è un momento cruciale per la donna, che non deve essere lasciata sola, ma sostenuta da una rete interdisciplinare di supporto (centro antiviolenza, avvocata ecc..) che le permetta di affrontare l’iter processuale.
È necessario fare un’altra importante precisazione: una delle caratteristiche principali della violenza di genere è la ciclicità. Il rapporto violento, infatti, al contrario di quello che si può immaginare, non è da immaginarsi come un legame nel quale la violenza è presente in modo costante. Piuttosto è caratterizzato da periodi partecipativi e affettuosi che si alternano a episodi di abuso che si sviluppano in modo progressivo. Alla fase di violenza acuta segue sempre un momento di “falsa riappacificazione”, dove il maltrattante appare pentito e scongiura la donna di perdonarlo e di non abbandonarlo, oppure l’episodio di maltrattamento può essere minimizzato dall’uomo che può giustificarsi dando la colpa alla donna che si riterrà responsabile per l’abuso subito.
Fatte queste importanti premesse, è facile comprendere che ci possono essere ripensamenti da parte di chi subisce violenza sulla decisione di querelare/denunciare. Alla luce di ciò, per fare in modo che il momento della querela/denuncia venga vissuto come un atto di empowerment è importante che la donna prenda questa decisione con conoscenza e consapevolezza.
DOPO LA DENUNCIA
Durante il percorso di fuoriuscita dalla violenza la donna può sperimentare contemporaneamente difficoltà logistiche, organizzative ed economiche, oltre a intensi vissuti emotivi che emergono quando inizia a rielaborare l’esperienza traumatica. Quando le donne decidono di lasciare la relazione spesso provano paura, ma anche un forte senso di colpa. Dobbiamo sempre tenere a mente che la donna ha condiviso parte della sua vita con il partner e magari questo è anche il padre dei suoi figli. Spesso la donna prova una forte vergogna per l’ambivalenza delle sue emozioni. Questo può portarla a chiudersi e a non raccontare come si sente per paura di essere giudicata “incorreggibile”, aumentando ancora di più il senso di solitudine e di isolamento. Decidere di interrompere la relazione da un lato può comportare un grande sollievo, dall’altra vengono meno tutta una serie di punti di riferimento e di certezze. Basti pensare alle donne che sono costrette a lasciare la propria abitazione, il proprio quartiere o addirittura la propria città con conseguente necessità di riorganizzare la propria vita e le proprie abitudini. Per questi motivi, oltre a predisporre azioni necessarie a fronteggiare l’emergenza, i centri antiviolenza perseguono obiettivi legati alla costruzione del futuro, affiancando la donna nella realizzazione di un percorso di libertà, attraverso la promozione di risorse e capacità progettuali.
La metodologia condivisa dai centri antiviolenza prevede che ogni azione venga intrapresa con il consenso della donna e che si lavori sempre per il suo vantaggio, attraverso una modalità che le consenta di parlare di sé, offrendole la possibilità di credere in se stessa. A questo proposito il termine empowerment indica un processo di acquisizione di potere attraverso la valorizzazione e il rafforzamento delle risorse personali e sociali su cui si può contare. È proprio attraverso questo processo che la donna può esplorare i suoi punti forza e investire su quelli per contrastare i danni prodotti dalla violenza.
Sul lungo termine l’aiuto nel reinserimento lavorativo, ad esempio, o nel rafforzamento di un’autonomia economica o ancora la riapertura verso relazioni sociali positive sono tutti esempi di interventi empowering e rappresentano aspetti centrali in un percorso di uscita dalla violenza.
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Piazza Libertà di Appiano Gentile e Piazza Europa di Oltrona San Mamette.
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CONOSCERE E RICONOSCERE LA VIOLENZA
Non è possibile affermare che esistano dei fattori di rischio che predispongono a intraprendere una relazione con un uomo maltrattante. I luoghi comuni e i pregiudizi sul tema della violenza di genere possono portarci a credere per esempio che sia un fenomeno che riguardi classi sociali svantaggiate, tradizioni culturali arretrate, oppure che siano soprattutto donne fragili o in condizioni di difficoltà psicologica e sociale a cadere vittime di violenza domestica.
I dati internazionali mostrano in realtà che il fenomeno è trasversale a tutte le culture, le classi sociali, le etnie e le religioni. Secondo la più ampia indagine italiana compiuta sul fenomeno, sono prevalentemente uomini italiani a compiere violenza.
Anche per quanto riguarda i fattori personali, gli studi e l’esperienza dei centri antiviolenza mostrano che il fenomeno riguarda donne con i più disparati profili biografici e le più diverse caratteristiche di personalità. Eventuali fragilità psicologiche e difficoltà socio-economiche possono tuttavia rendere più difficile il percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Lo stesso vale per le “situazioni a rischio”. Uno dei pregiudizi che spesso si riscontra quando si parla di violenza, in particolare di violenza sessuale, è che sia un fenomeno legato alla sicurezza pubblica, quindi al maggiore rischio di subire violenza in luoghi isolati e nelle ore serali, ma le statistiche non ci dicono cosi: secondo i dati ISTAT (2007/2015) sono compagni, mariti e fidanzati a commettere le violenze più gravi.
Per quanto riguarda gli indicatori da poter osservare, ci sono dei segni che possono aiutarci a capire se siamo davanti a una donna vittima di violenza. Non mi soffermo sugli indicatori fisici, in quanto è più facile che siano indagati da operatori che lavorano nel contesto sanitario. Piuttosto desidero soffermarmi su quelli psicologici e relazionali che sono più riscontrabili da chi frequenta la donna nel suo quotidiano.
Tra gli indicatori psicologici troviamo:
- stati d’ansia ricorrenti e/o attacchi di panico
- difficoltà di concentrazione
- umore depresso
- irritabilità e/o scoppi d’ira
- disturbi del sonno e incubi ricorrenti
- apatia, esaurimento di energie, stanchezza cronica
- disprezzo di sé e senso di inadeguatezza
- sbalzi repentini d’umore
- autolesionismo
Tra gli indicatori relazionali troviamo:
- sfaldamento della rete di relazioni, isolamento sociale
- riduzione o perdita progressiva dell’autorevolezza materna o altre difficoltà nell’assunzione del ruolo educativo e nell’accudimento di figli/e
- frequenti assenze dal lavoro per malattia e riduzione della produttività o calo del rendimento scolastico
- modifica delle attività extrascolastiche
- cambiamento nel modo di abbigliarsi, pettinarsi, truccarsi ecc.
Ci sono poi alcuni “campanelli d’allarme” che possiamo osservare all’interno della relazione, specialmente nella fase iniziale, nella quale la violenza non è ancora esplicita. Come in tutte le relazioni, anche in quelle con un uomo maltrattante possiamo osservare una fase iniziale “idilliaca”. In questa fase l’uomo mette in atto quello che viene definito love bombing, ossia un “bombardamento d’amore”, con comportamenti apparentemente molto premurosi e rassicuranti, che possono facilmente essere visti sotto una luce positiva. In realtà questi atteggiamenti nascondono un desiderio di controllo, esclusività e intolleranza per le divergenze, oltre che una modalità per agganciare la donna.
Alcuni esempi.
- Lui la contatta continuamente attraverso telefonate e/o messaggi e desidera che lei la informi su ogni suo spostamento.
- La accompagna ovunque e si aspetta che lei condivida con lui ogni informazione, tra cui le password, dicendo che è normale che ciascuno sappia tutto dell’altro in una coppia.
- È eccessivamente romantico. Sembra concentrato esclusivamente sulla partner. Vede meno i suoi amici, posticipa impegni lavorativi. Investe molto tempo ed energie per fare regali, organizzare appuntamenti, fare viaggi, non chiedendo mai l’opinione della donna.
- È geloso. Si irrita ogni volta che la donna racconta di un episodio legato a un ex partner. Si mostra preoccupato per il suo modo di acconciarsi o di vestirsi e giustifica il suo comportamento dicendo che altri uomini potrebbero trovarla attraente e farle delle avances. Si mostra infastidito dai rapporti con amici e colleghi della donna.
- Desidera che lei gli dedichi tutto il suo tempo e la sua attenzione. Lo infastidisce che lei scelga di trascorrere con familiari e amici del tempo che avrebbero potuto trascorrere insieme.
- Trova che lei sia la donna ideale, ma ha atteggiamenti negativi nei confronti delle altre donne. Sostiene che lei sia diversa da tutte le altre donne, le quali sono per lo più poco serie.
ASCOLTARE, ACCOMPAGNARE, AIUTARE
Se hai il sospetto che una persona che conosci stia subendo violenza dal proprio partner, per prima cosa è importante offrire alla persona la propria disponibilità all’ascolto: prenditi del tempo per parlarle di quello che hai notato. Manifesta la tua preoccupazione e chiedi se sta vivendo una situazione familiare difficile di cui vorrebbe parlare.
Se la donna ti parla di quello che sta vivendo, falla sentire compresa. È possibile che si senta in colpa e si senta di “meritare” quello che le accade. Tu sottolinea che la violenza è una responsabilità di chi la compie, indipendentemente da quel che fa o non fa chi la subisce. Non c’è giustificazione per la violenza.
Mostrale che la sua situazione non ti appare surreale, ma che sei a conoscenza del fatto che la violenza è un problema grave e comune a molti più uomini di quanto si possa pensare.
È importante rispettare i tempi e gli spazi della donna. Cerca di rimanere in contatto con lei, senza avere un atteggiamento intrusivo o pressante. Evita quindi di dirle quello che dovrebbe fare, ma cerca piuttosto di capire con lei quali siano i suoi bisogni. Può venire spontaneo chiederle come abbia fatto a sopportare questa situazione e cosa aspetti a lasciare il partner maltrattante, ma in questo modo si sentirebbe giudicata e non compresa nella complessità della situazione che sta vivendo. Ricorda che l’uomo che agisce violenza è la stessa persona con cui la donna ha intrapreso una relazione affettiva. Non stupirti se nel racconto emergono sentimenti ambivalenti: amore e paura, stima e odio, volontà di chiudere la relazione e speranza di una riconciliazione. Mostrale che puoi comprenderla e che rispetti la complessità di quello che sta vivendo. Cerca di evitare insulti e di mostrare disprezzo contro il suo compagno. Se infatti la donna ti considera ostile, probabilmente interromperà ogni contatto con te, specialmente se non è ancora pronta a lasciare la relazione.
La violenza domestica è un problema molto complesso e dev’essere gestito con l’aiuto di professionisti e servizi specializzati. Interrompere una relazione con un uomo violento è un percorso complesso e articolato. Per la sua sicurezza e per la tua serenità è necessario che la donna possa contare su più punti di riferimento. Oltre ad ascoltare il racconto della donna, puoi informarla sulle sue opportunità: dalle il numero di telefono e l’indirizzo del centro antiviolenza più vicino. Rassicurala sul fatto che lì sarà ascoltata, non verrà giudicata e non verrà forzata a prendere decisioni. Ricorda alla donna che in caso di pericolo non deve esitare a chiamare le forze dell’ordine.
Online è disponibile una mappatura dei centri antiviolenza italiani completa di numeri di telefono, indirizzi e tutti i servizi offerti da ciascuna realtà locale (http://comecitrovi.women.it). Puoi contattare tu stesso un centro antiviolenza o puoi chiamare il 1522 (numero nazionale di pubblica utilità per il contrasto alla violenza di genere e allo stalking) per confrontarti e avere ulteriori consigli su come puoi aiutare la donna. Per quanto riguarda il territorio di Como e provincia, il centro antiviolenza di riferimento è Telefono Donna. Venire a conoscenza di una situazione di pericolo può essere molto destabilizzante; il confronto con delle professioniste può esserti di grande sostegno.
Infine puoi offrire un sostegno pratico alla donna manifestandole la tua disponibilità ad accompagnarla al centro antiviolenza. Puoi renderti disponibile a darle una mano con i bambini o con eventuali animali domestici. Potresti renderti disponibile a ospitarla temporaneamente o ad aiutarla nella ricerca di una sistemazione in caso le fosse necessario allontanarsi da casa in situazioni di emergenza.
LE DIVERSE FORME DI VIOLENZA
La violenza non si presenta in un’unica forma. Quella che noi conosciamo principalmente dai giornali è la violenza di tipo fisico. È la forma di violenza più riconoscibile, che coinvolge l’uso della forza contro le vittime con conseguenti lesioni, fino ad arrivare, nei casi più gravi, al femminicidio.
Le altre forme di violenza, che sono meno evidenti e meno conosciute sono:
- violenza psicologica,
- violenza economica,
- violenza sessuale all’interno di una relazione affettiva,
- stalking,
- violenza assistita.
La violenza psicologica comprende tutti quegli atteggiamenti che hanno come obiettivo quello di togliere alla donna la capacità di autodeterminarsi e di agire secondo la propria volontà. Comprende per esempio le critiche frequenti, il ridicolizzare, il muovere accuse costanti di infedeltà, l’incapacità di tollerare il disaccordo, il controllo continuo dei movimenti e la pretesa che la partner renda conto del suo tempo, l’umiliazione in pubblico o davanti ai figli. È importante sottolineare che dal punto di vista traumatologico i danni che occorrono in seguito alla violenza psicologica vengono descritti come più dolorosi rispetto ai danni della violenza fisica: ci sono diversi studi che dimostrano che il dolore fisico segue un processo di abituazione. Spesso le vittime, col proseguire del dolore, tendono a non riconoscerlo più per una serie di sistemi neurologici che fanno sì che la donna non senta più il dolore come all’inizio, mentre le parole continuano a svolgere lo stesso effetto terrifico. A lungo andare le conseguenze sul piano psicologico sono devastanti in termini di perdita di autostima e di privazione dell’autodeterminazione. La violenza psicologica mina il valore della persona ed è un tipo di violenza difficile da riconoscere e da denunciare, proprio perchè non ci sono segnali fisici.
La violenza economica consiste in una serie di atteggiamenti volti all’impedire che la donna possa disporre di denaro in modo autonomo ed indipendente, in modo da poter esercitare su di essa un controllo indiretto estremamente efficace.
L’uomo può impedire alla sua partner di cercare un lavoro e/o di migliorare la propria istruzione, oppure può privarla di avere il controllo del suo stesso stipendio.
Capita che si impedisca alla donna di accedere ai conti bancari comuni, che la si privi di informazioni sulle risorse economiche familiari, che le si intestino conti e proprietà coinvolgendola in truffe o facendo ricadere su di lei debiti e sanzioni. Si può costringere la donna a pagare esclusivamente con il suo denaro tutte le spese domestiche, non pagare gli alimenti e il mantenimento per i figli dopo una separazione.
La dipendenza economica è uno dei meccanismi di mantenimento della violenza, infatti la mancanza di denaro da gestire autonomamente o l’impossibilità di accedere a beni familiari, qualora si decida di separarsi, costituiscono dei fortissimi deterrenti per lasciare la relazione.
È violenza sessuale ogni atto sessuale imposto con l’uso della forza fisica o della minaccia, approfittando dell’incapacità della donna di esprimere il suo consenso, oppure attraverso l’induzione di uno stato di soggezione psicologica. Si considera violenza sessuale anche la condotta di chi prosegue un rapporto sessuale quando il consenso, originariamente prestato, venga meno a causa di un ripensamento o della non condivisione delle modalità di consumazione del rapporto.
La violenza sessuale non rientra tra le violenze “sottili” per le ripercussioni fisiche e psicologiche evidenti e socialmente riconosciute. Tuttavia c’è una forma di violenza che rientra in questa categoria ed è la violenza sessuale coniugale, ossia quella che avviene all’interno di un matrimonio, più in generale all’interno di una relazione affettiva.
Gli atti sessuali si configurano, in questo ambito, come un obbligo a cui la donna deve prestarsi in maniera inconsapevole – per esempio durante il sonno o in situazioni di vulnerabilità – o costretta da aspetti contingenti che rendono “necessario” un incontro intimo con il partner (violenza psicologica, coercizione, ricatto, senso del dovere/obbligo, instillazione del senso di colpa). Pensiamo per esempio all’ipotesi in cui la vittima abbia preferito acconsentire ad avere un rapporto, piuttosto che correre rischi peggiori. In questi casi è sempre necessario chiedersi se il consenso è stato davvero volontario o frutto di una sottomissione psicologica.
La violenza sessuale coniugale viene favorita da secoli di cultura patriarcale, sulla base dei quali la moglie, nel momento in cui diventa tale, si tramuta automaticamente in una “proprietà” del marito che può disporne a suo piacimento come e quando desidera. Ancora oggi si sente parlare di “doveri coniugali” e tra di essi molti inseriscono anche il “dovere al rapporto sessuale”. La Corte di Cassazione italiana, a partire dagli anni ‘70, ha stabilito che l’unione matrimoniale non rappresenta in alcun caso un pretesto mediante cui imporre prestazioni sessuali al partner.
La violenza assistita consiste nel far assistere bambini ad atti di abuso fisico, verbale, psicologico, sessuale o economico sulla madre o su altre figure significative. I figli possono fare esperienza diretta della violenza quando questa avviene nel loro campo percettivo, per esempio davanti a loro o in un luogo della casa nel quale arrivano urla e rumori. Oppure indirettamente, percependo gli effetti della violenza, ad esempio vedendo le ferite sul corpo della madre, oggetti rotti in casa, o ancora il suo stato di paura e soggezione nei confronti del padre. Diversi studi hanno dimostrato che assistere alla violenza nei confronti di una figura affettiva di riferimento è una forma di abuso a tutti gli effetti, in grado di compromettere lo sviluppo individuale e produrre sintomi psico-fisici a breve, medio e lungo termine, per lo più sovrapponibili a quelli di un abuso diretto. Spesso accade che le madri vittime di violenza abbiano la convinzione che i bambini non abbiano mai assistito a episodi di maltrattamento e che non siano consapevoli di quello che accade.
Per stalking si intende un insieme di comportamenti persecutori ripetuti che generano nella donna la sensazione di essere continuamente controllata e seguita, inducendole paura e ansia. Alcuni esempi di stalking sono il ricevere telefonate, messaggi, biglietti, e-mail, attenzioni o regali in modo intrusivo e indesiderato oppure comportamenti controllanti come pedinamenti, inseguimenti o appostamenti sotto casa, sul luogo di lavoro o presso altri luoghi frequentati abitualmente dalla donna. Rientrano nello stalking anche atti intimidatori come, per esempio, far recapitare oggetti all’indirizzo della vittima o ancora ricevere messaggi o telefonate nei quali lo stalker comunica di essere a conoscenza del luogo esatto in cui la donna si trova allo scopo di insinuare in lei la sensazione di non poter sfuggire al suo controllo. Attualmente stanno aumentando i casi di cyberstalking, una forma di violenza persecutoria esercitata con l’uso di internet o altri strumenti informatici, come per esempio il furto d’identità, la diffamazione e la calunnia su internet. Frequente è la raccolta di informazioni, foto e video con l’obiettivo di minacciare la donna di metterla in grave imbarazzo o distruggerne la reputazione. A questo proposito il termine revenge porn è relativo alla diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti.
Un comportamento che dal 9 agosto del 2019 costituisce reato anche in Italia. La legge è stata introdotta al fine di contrastare la “moda” di diffondere foto e video hard realizzate con il consenso dell’interessato/a, che vengono diffuse senza nessuna autorizzazione, andando a ledere la privacy, la reputazione e la dignità della vittima.
FARSI AIUTARE
Per prima cosa ci tengo a specificare che uscire dalla violenza è un percorso molto complesso e articolato. Difficilmente i percorsi sono dritti e lineari. Più spesso infatti sono costellati da alti e bassi, con un’alternanza di passi avanti e passi indietro a causa delle difficoltà pratiche ed emotive che la donna deve affrontare. I “passi indietro” non devono essere considerati come fallimenti, bensì delle tappe di un lungo e faticoso percorso che permettono alla donna di prendere sempre più coscienza della situazione che stanno vivendo.
Il primo obiettivo infatti è proprio quello di riconoscere l’abuso e il conseguente rischio, dando un nome al problema. Da qui la cosa importante è individuare dei punti di riferimento, quali amici e familiari e soprattutto professionisti specializzati che possano aiutare la donna in questo difficile percorso. L’obiettivo principale, in questa prima fase, è quello di costruire una condizione di sicurezza, individuando i possibili comportamenti di autoprotezione e focalizzando quelli che possono invece esporre a un maggiore rischio. Solo quando la donna è in una condizione di sicurezza si può procedere con l’elaborazione dell’esperienza traumatica. A questo proposito la donna, rivolgendosi a un centro antiviolenza, avrà la possibilità di accedere gratuitamente al servizio di consulenza psicologica con professioniste specializzate che la aiuteranno a ricostruire e comprendere la storia della coppia, a riconoscere la responsabilità del partner maltrattante liberandosi dei sensi di colpa, a riconoscere gli effetti della violenza e affrontare i sentimenti ambivalenti. Queste sono le basi per arrivare all’ultima tappa del percorso, ossia la costruzione di un cambiamento con cui la donna potrà riappropriarsi dei propri desideri e obiettivi, tornando a esercitare la capacità di progettare, pianificare e sperimentarsi, valorizzando e potenziando le proprie risorse personali e sociali per non vedersi più solo come vittima, ma come una persona che ha ripreso in mano la propria vita e la propria libertà.
LA DENUNCIA
Per rispondere a questa domanda è necessario fare una distinzione fondamentale tra i reati procedibili a querela e quelli procedibili d’ufficio.
Si parla di reati procedibili a querela quando solo la vittima può decidere se richiedere una condanna penale per l’autore del reato. In questo caso quindi solo la vittima può decidere se querelare l’uomo che ha agito violenza. Esiste in questo caso la possibilità di revoca. Diverso è per i reati procedibili d’ufficio. Questi arrivano al procedimento penale attraverso la denuncia, che a differenza della querela può essere presentata, oltre che dalla persona offesa, da chiunque abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio.
Hanno obbligo di presentare denuncia il pubblico ufficiale e la persona incaricata di pubblico servizio e/o esercente un servizio di pubblica utilità, dal momento della conoscenza del reato, indipendentemente dalla volontà della persona offesa, che vede partire l’iter processuale penale senza una sua decisione in merito. La denuncia, a differenza della querela, non può essere ritirata.
Non sempre, quindi, la denuncia corrisponde con un atto deciso dalla donna. È chiaro che in questo caso può rappresentare una difficoltà anziché un sostegno e senza il giusto supporto tecnico rischia di vedere peggiorare la condizione della donna, ad esempio con l’inasprimento delle violenze da parte dell’uomo denunciato.
Il momento della denuncia/querela è un momento cruciale per la donna, che non deve essere lasciata sola, ma sostenuta da una rete interdisciplinare di supporto (centro antiviolenza, avvocata ecc..) che le permetta di affrontare l’iter processuale.
È necessario fare un’altra importante precisazione: una delle caratteristiche principali della violenza di genere è la ciclicità. Il rapporto violento, infatti, al contrario di quello che si può immaginare, non è da immaginarsi come un legame nel quale la violenza è presente in modo costante. Piuttosto è caratterizzato da periodi partecipativi e affettuosi che si alternano a episodi di abuso che si sviluppano in modo progressivo. Alla fase di violenza acuta segue sempre un momento di “falsa riappacificazione”, dove il maltrattante appare pentito e scongiura la donna di perdonarlo e di non abbandonarlo, oppure l’episodio di maltrattamento può essere minimizzato dall’uomo che può giustificarsi dando la colpa alla donna che si riterrà responsabile per l’abuso subito.
Fatte queste importanti premesse, è facile comprendere che ci possono essere ripensamenti da parte di chi subisce violenza sulla decisione di querelare/denunciare. Alla luce di ciò, per fare in modo che il momento della querela/denuncia venga vissuto come un atto di empowerment è importante che la donna prenda questa decisione con conoscenza e consapevolezza.
DOPO LA DENUNCIA
Durante il percorso di fuoriuscita dalla violenza la donna può sperimentare contemporaneamente difficoltà logistiche, organizzative ed economiche, oltre a intensi vissuti emotivi che emergono quando inizia a rielaborare l’esperienza traumatica. Quando le donne decidono di lasciare la relazione spesso provano paura, ma anche un forte senso di colpa. Dobbiamo sempre tenere a mente che la donna ha condiviso parte della sua vita con il partner e magari questo è anche il padre dei suoi figli. Spesso la donna prova una forte vergogna per l’ambivalenza delle sue emozioni. Questo può portarla a chiudersi e a non raccontare come si sente per paura di essere giudicata “incorreggibile”, aumentando ancora di più il senso di solitudine e di isolamento. Decidere di interrompere la relazione da un lato può comportare un grande sollievo, dall’altra vengono meno tutta una serie di punti di riferimento e di certezze. Basti pensare alle donne che sono costrette a lasciare la propria abitazione, il proprio quartiere o addirittura la propria città con conseguente necessità di riorganizzare la propria vita e le proprie abitudini. Per questi motivi, oltre a predisporre azioni necessarie a fronteggiare l’emergenza, i centri antiviolenza perseguono obiettivi legati alla costruzione del futuro, affiancando la donna nella realizzazione di un percorso di libertà, attraverso la promozione di risorse e capacità progettuali.
La metodologia condivisa dai centri antiviolenza prevede che ogni azione venga intrapresa con il consenso della donna e che si lavori sempre per il suo vantaggio, attraverso una modalità che le consenta di parlare di sé, offrendole la possibilità di credere in se stessa. A questo proposito il termine empowerment indica un processo di acquisizione di potere attraverso la valorizzazione e il rafforzamento delle risorse personali e sociali su cui si può contare. È proprio attraverso questo processo che la donna può esplorare i suoi punti forza e investire su quelli per contrastare i danni prodotti dalla violenza.
Sul lungo termine l’aiuto nel reinserimento lavorativo, ad esempio, o nel rafforzamento di un’autonomia economica o ancora la riapertura verso relazioni sociali positive sono tutti esempi di interventi empowering e rappresentano aspetti centrali in un percorso di uscita dalla violenza.
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